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Il punto di... Paolo Giovenali#restateACasa, #iorestoacasa... Questi sono i messaggi che stiamo ascoltando e condividendo in questi giorni; cosa può esserci di peggio per chi come noi di APOF, ha come missione la cooperazione internazionale e quindi vive anche di viaggi? Siamo bloccati, il nostro lavoro è fermo, siamo preoccupati per il futuro: al Consolata Hospital di Ikonda (Tanzania) ci sono attrezzature per un laboratorio completo, spedite due mesi fa, che attendono di essere installate; ad Hargeisa (Somaliland) il laboratorio è già funzionante, ma non ci sono patologi locali e sono tutti in attesa dell'installazione di una stazione di telepatologia per cominciare a lavorare. E' già tutto pronto, ma non possiamo andare. Sono solo due esempi, ma ce ne sarebbero molti altri. Insomma, siamo in un limbo di incertezza dal quale non sappiamo quando potremo uscire e soprattutto in quali condizioni; il tutto accompagnato da un piccolo senso di colpa, visto che altre ONG si stanno occupando della emergenza Covid in Italia... Ma non è il nostro lavoro! Giorni fa ho ricevuto alcuni messaggi WhatsApp da una amico di Mwanza, dove abbiamo lavorato molti anni, e da una collega patologa palestinese con la quale abbiamo condiviso anni di ottimo lavoro all'ospedale di Betlemme, eccoli: Strano... In condizioni normali dovremmo essere noi a preoccuparci per loro! Questo virus ci sta facendo capire che noi non siamo i "benefattori" infallibili e invulnerabili, ma siamo semplicemente medici, biologi e tecnici che lavorano insieme a colleghi che riteniamo meno fortunati di noi. Ma attenzione: i ruoli si possono invertire facilmente e rapidamente! Potrà sembrare paradossale, ma è la consapevolezza della nostra debolezza che può accrescere la fiducia nella cooperazione, proprio perché dimostra che l'efficacia delle azioni non dipende solo da noi, ma da volontà reciproche, spesso e fortunatamente imperniate sulla amicizia. Io sono sicuro che, con il sostegno dei nostri amici e colleghi dei paesi lontani, riusciremo a continuare a lavorare insieme. In ultimo, un augurio per tutti noi: stiamo in ospedale, stiamo a casa, ma stiamo bene! Paolo Giovenali Presidente APOF ONG NEWS sul progetto CORNO D'AFRICAContinua, anche in questo periodo di “lock down” planetario, il progetto di APOF nel Corno d’Africa, anche grazie alle risorse messe a disposizione dall' 8X1000 della Chiesa Valdese, dalla SIAPEC e dal Rotary. "Il Corno d'Africa è una penisola di forma triangolare posta sul lato orientale del continente africano, protendendosi, a forma di corno, nell'oceano Indiano e nel golfo di Aden comprendendo Eritrea, Etiopia, Somalia e Gibuti. È una regione estremamente complessa, in cui strati di potenziali problemi sono accatastati uno sopra l'altro. Non solo gran parte dell'ambiente naturale del Corno è estremamente proibitivo, ma enormi differenze nella sua dotazione ambientale - che vanno dalle terre dell'altopiano dell'Etiopia settentrionale alla macchia somala - creano tipi di società molto diversi, alcuni pastori e alcuni basati sull'agricoltura, con valori e stili di vita drammaticamente contrastanti. La regione è al confine tra due delle principali religioni del mondo, l'Islam e il cristianesimo, e comprende una vasta gamma di gruppi etnici, lingue e culture." Negli ospedali di riferimento (Ospedale di Balbalà e Ospedale Militare a Gibuti, e Hargeisa Group Hospital ad Hargeisa) l’attività ospedaliera, con le sale operatorie, i servizi di gastroscopia, i ricoveri per patologie tumorali e non solo, naturalmente non si ferma. Il nostro impegno ora è rivolto all’attività diagnostica in telepatologia e al perfezionamento delle procedure tecniche e organizzative dei laboratori. Mentre nell’Ospedale di Balbalà l’arrivo di un altro patologo da Cuba ha reso pienamente autonomo il servizio, e la telepatologia ha funzione di consulenza “on demand”, diverso è il nostro approccio nell’Ospedale Militare: attualmente nel laboratorio operano due tecnici formati da noi lo scorso anno, che allestiscono i vetrini da scansionare con il microscopio digitale (Microvisioneer). Siamo ancora in una fase di “rodaggio”: tramite whatsapp, con testi, foto e video continua il sistematico miglioramento della qualità dei vetrini. La trasmissione dei dati in telepatologia è molto efficiente, grazie alla piattaforma digitale abbiamo già diagnosticato circa 70 casi, con un tempo di risposta medio di sei giorni. Tra non molto, finita la fase di miglioramento organizzativo e tecnico, verrà costituito un team di colleghi disponibili a contribuire, periodicamente, alla diagnostica in telepatologia o, quando sarà possibile, con missioni in loco. Già fin d’ora chi vuole può scrivere alla segreteria per mettersi a disposizione. Un approfondimento: storia e antropologia del CORNO d’AFRICA e di GIBUTIQuesto piccolo Paese (poco più di 23 mila km² e con meno di un milione di abitanti) è uno dei luoghi più ambiti al mondo. Il suo porto è posto all’ingresso del Mar Rosso e del Canale di Suez, su una delle rotte marittime più trafficate del mondo, di fondamentale importanza per la salute dell’economia mondiale visto che 20 mila navi, vi passano attraverso ogni anno. Da qui l’interesse militare di paesi come Stati Uniti, Francia, Giappone, Arabia Saudita e da ultima la Cina che vi ha insediato la sua prima base militare oltremare. Anticamente, dopo essersi liberata dal leggendario dominio della regina di Saba, questa regione vide lo sviluppo di regni molto prosperi, primo fra i quali la vasta Etiopia. A cavallo fra Ottocento e Novecento le zone costiere del Corno d'Africa vennero occupate dalle potenze europee. Dopo il termine delle dominazioni straniere questi Stati hanno dovuto fare i conti con un'economia a pezzi. L'Etiopia è stata dilaniata da una lunga guerra civile, mentre la Somalia ha subito una evoluzione filoislamica. La recente secessione del 1993, dopo la quale l'Eritrea si è divisa politicamente dall'Etiopia, ha lasciato quest'ultima senza sbocchi sul mare, e quindi con problemi di sviluppo, in parte risolti da accordi politici e commerciali con Gibuti. Nel 2011 l'intero Corno d'Africa è stato colpito da una terribile carestia, la peggiore degli ultimi sessant’anni. Questi Stati hanno subito rivoluzioni e guerre civili, dovute ai continui movimenti secessionisti delle varie tribù locali, fenomeno che si manifesta in tutta l'Africa, essendo gli attuali confini delle varie nazioni rispondenti ai regimi europei e non alla reale distribuzione etnica. In particolare a Gibuti convivono due popolazioni profondamente diverse, gli Afar prevalentemente a nord, gli Issa a sud. Il popolo Issa e quello Afar sono composti da pastori appartenenti alla categoria linguistica meridionale del Cushitic nel Corno d'Africa. Vivono nell'arido deserto e nei territori semi-aridi dell'Afar e del Corno somalo. Il popolo Issa è una delle nove confederazioni di clan somali che vivono in Etiopia, Gibuti e Somaliland. Gli Afar sono una distinta categoria etnica in Etiopia, Eritrea e Gibuti. Gli Issa e gli Afar, oltre a vivere di pastorizia, hanno svariati punti in commune: un'organizzazione sociale egualitaria basata sul clan, un lignaggio patrilineare e un sistema matrimoniale endogamo, religione (musulmani sunniti), sistemi di trasformazione legale, politica e di conflitto consuetudinario, valori linguistici e socio-culturali. Nonostante queste somiglianze, Issa e Afar hanno una lunga storia di conflitti che risale al primo quarto del XVI secolo. Dopo la seconda guerra mondiale sotto l'imperatore Haile Selassie I, il conflitto Issa-Afar si ampliò per l'accesso e il controllo delle risorse, da un lato, e per il conflitto politico con lo stato dall'altro. Negli anni '70 la lotta armata secessionista dell'Eritrea e la guerra Etiopia-Somalia scatenarono la violenza Issa-Afar. Nel periodo successive al 1991, episodi di conflitto violento hanno provocato il radicarsi di esperienze soggettive di paura, animosità, perdita, trauma e vittimismo. Tale conflitto è paragonabile a quello israeliano-palestinese, in cui si inserisce l’idea di una “predisposizione divina” in una situazione in cui gli umani sembra non abbiano più alcun mezzo per cambiare. Dunque la memoria di violenza, e la sua perpetuazione nel presente, sono divenute distanti dalle questioni sostanziali e originarie del territorio, del dominio e dei bisogni primari immediati di acqua e pascolo per il loro bestiame. Per approfondire gli aspetti antropologici, molto interessanti, delle popolazioni che abitano l’area geografica in cui operiamo abbiamo scelto tre articoli: https://repository.up.ac.za/bitstream/handle/2263/70597/Alemu_Critical_2018.pdf?sequence=1&is Allowed=y https://www.researchgate.net/publication/319206862_Anatomy_of_Issa-Afar_Violence https://academicjournals.org/journal/IJSA/article-full-text/CB045F552521 Nella prossima NEWSLETTER ci sarà uno spazio dedicato ai casi clinici, se volete contribuire inviateci una mail.
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